i nonni altrove

Come sono affettuosi questi bambini. Quando vado a prenderli a scuola mi corrono incontro e mi abbracciano con una gioia e un trasporto che non hai idea. I loro compagni non fanno mica lo stesso coi loro nonni!

Mamma, sei a Milano da 2 giorni, i bambini non ti vedevano da 2 mesi, mi sembra normale che ti facciano le feste. Mi stupirei del contrario. Tu sei per loro una novità, i nonni che vedi a scuola sono nonni che vivono a Milano e vanno a prendere i nipoti regolarmente, ci passano del tempo insieme tutti i giorni. Per i loro nipoti non sono una novità, fanno parte della routine.

Quando vivi con la tua famiglia in una città diversa da quella in cui sei cresciuto, per forza di cose vieni sradicato da quella piccola comunità di persone, da quella rete di affetti con cui hai vissuto fino a un certo periodo della tua vita. Continui a vivere la tua vita su un binario parallelo, tentando di accorciare la distanza e attenuare la nostalgia con lunghe telefonate e visite sparpagliate nel corso dell’anno, che ti diano l’llusione di non esserti persa molto nel frattempo. Prima di emigrare a Milano per frequentare l’unversità vivevo in un paese di 3000 abitanti, avevo i nonni che abitavano a pochi metri e non c’era giorno che non li vedessi almeno un’ora. Capitava che andassi a fare i compiti dalla mia nonna materna: lei ricamava o stendeva la sfoglia per i tagliolini e io facevo le mie cose, smangiucchiando pezzetti di pasta fresca; oppure capitava che passassi da mio nonno in ambultorio, sapendo già che mi avrebbe regalato qualche spicciolo per le polentine. Noi piccoli gravitavamo attorno ai nonni e viceversa, i miei non si sono mai posti il problema ‘con chi lasciamo i bambini’ perché c’erano sempre e comunque i nonni a darci uno sguardo. Si conviveva, ci si faceva compagnia e si imparavano cose senza neanche accorgersene, quasi per osmosi: a lavorare all’uncinetto, a cucire, a usare il ferro per fare i cavatelli. Non si pensava certo al privilegio di quella convivenza, alla ricchezza che quel contatto costante ci avrebbe lasciato. Io non ci pensavo, lo davo per scontato. Come forse i compagni di scuola dei miei figli che vedono i nonni tutti i giorni.

Ma a quella ricchezza do un grande peso oggi che, con un marito sradicato anch’egli dalla rete di affetti con cui ha convissuto prima di andare a lavorare sempre più a nord, realizzo che i miei figli non godranno mai del privilegio della quotidianità accanto ai nonni. Il lato positivo di tutto questo – magra consolazione –  è che per Olli e Bibo i nonni saranno sempre delle figure che appartengono al mito, alimenteranno costantemente la loro fantasia. Ogni loro visita a Milano sarà lungamente pregustata e attesa con impazienza; ogni vacanza nella casa della mia infanzia che sta in mezzo al nulla sarà vista come un premio, la ricompensa alla fine di un anno scolastico faticoso, qualcosa che merita il conto alla rovescia. Non verrà dato per scontato mai nemmeno un minuto in loro compagnia. E tutte le volte che mia madre andrà a prendere i miei figli a scuola sarà accolta con una rincorsa da lontano e un abbraccio stretto stretto.

 

 

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