#MyMomsAboutTown: Drusilla

Da circa 1 anno ha preso forma in rete una community di 13 donne italiane che vivono in 13 paesi diversi del globo, con fusi orari altrettanto diversi. Il web le ha fatte incontrare, diventare amiche e creare qualcosa che fosse un punto di riferimento per tutte loro. È così che, circa 1 anno fa, è nato Amiche di Fuso, un punto di incontro dove ognuna delle 13 ragazze racconta della sua vita da espatriata, tra shock culturali (per i quali le amiche di fuso hanno coniato un hashtag apposta: #culturalshock) e voglia di integrarsi. C’è quella che si è trasferita in un paese straniero per amore, quella che invece è andata a cercare nuove prospettive professionali e così via. Il sito è diventato una risorsa preziosa anche per chi sta per trasferirsi all’estero e cerca informazioni sullo stile di vita di un certo luogo o dettagli pratici sulle scuole, su come affittare una casa, in che quartiere andare ad abitare. Alcune Amiche di Fuso vivono in località universalmente considerate “amene”, vedi Parigi, Londra, San Francisco, altre in città più difficili dove intergrarsi richiede un notevole sforzo di ottimismo e spirito di adattamento. Io ho voluto incontrare proprio una di queste. Si chiama Drusilla, è di Canneto sull’Oglio (Mantova) ha 35 anni, 2 bambini di 6 (Tommaso) e 5 (Riccardo) e un marito che ha trovato lavoro a Riyadh e che lei ha deciso di seguire, dopo 4 anni trascorsi in un’altro Stato del Golfo persico, il Kuwait.

#MyMomsAboutTown

Drusilla SENZA abaya e Drusilla CON abaya

Quanto è stato traumatico – se lo è stato – il passaggio dal Kuwait all’Arabia Saudita?
Il passaggio dal Kuwait all’Arabia Saudita è stato fortemente traumatico: anche se questi due Paesi sono vicini di casa, nella realtà sono molto differenti.
I paesaggi si assomigliano: polvere e sabbia la fanno da padrone a Riyadh come a Kuwait City. Ma ciò che veramente è diverso (e traumatico) sono le limitazioni nello stile di vita. Qui a Riyadh non posso guidare, alle donne è vietato, mentre in Kuwait avevo la libertà di guidare la mia meravigliosa Jeep; qui devo vivere all’interno di un compound (ndr. il compound è un complesso residenziale recintato) per una questione di sicurezza mentre in Kuwait vivevo in un palazzo al centro di una bella zona residenziale per occidentali; qui devo indossare un abaya ogni volta che esco dal compound, in Kuwait bastava stare attenti a non indossare abiti troppo scollati, bermuda o abiti troppo corti. Qui a Riyadh tutti i negozi chiudono ogni volta che c’è la preghiera e quindi tutto si ferma e la nostra vita per forza di cose ruota attorno a queste cinque preghiere giornaliere. Insomma, una serie di restrizioni che hanno reso il mio passaggio al deserto confinante decisamente sfidante.

Qual è stato il tuo ‘cultural shock’, concetto eloquente e hashtag per il quale quale voi Amiche di Fuso siete ormai famose? I cultural shock sono stati diversi e, confesso, che ogni giorno ne subisco uno nuovo.
Quello più grande, per me, è stato non poter guidare. Sono arrivata preparata, lo sapevo, ma è stato (ed è tuttora) traumaticoo non poter avere la libertà di andare dove, come e quando voglio in giro per la città con la mia auto. Un altro cultural shock è non poter fotografare in pubblico, anche questo veramente difficile per una persona che come me ama fotografare la vita vera al di fuori delle mura di casa. Ma anche il non potersi sedere all’esterno di un caffè o un ristorante solo perché sei una donna.
L’ultimo cultural schock di qualche giorno fa è stato scoprire che i negozi di abbigliamento non hanno i camerini e quindi non si possono provare i vestiti.

Ci si abitua in fretta a indossare l’abaya?
No! Non mi potrò mai abituare ad indossare un camicione nero informe privo di colore, il cui obiettivo è proprio nascondere, coprire, non mettere in mostra. E’ una cosa troppo diversa dalla mia cultura.
Ma io sono ospite di questo paese, che attualmente sta fornendo lavoro a mio marito, quindi accetto una tradizione, che però non condivido. Insomma, non mi abituerò mai ad indossare un abaya, ma cerco di viverlo con positività, cercando di trovare solo gli aspetti positivi senza farne una questione di principio perché, in fondo, io qui sono solo di passaggio.

Ti  è mai capitato di fare qualche gaffe, inserendoti in una cultura così lontana dalla tua? No, non ho mai fatto gaffe e spero di non farne mai! sono sempre molto attenta a tutto. Qui non si può scherzare, è pericoloso.

In che tipo di scuola hai iscritto i tuoi figli? I bambini studiano anche l’arabo? Dopo tre anni di scuola inglese in Kuwait, un anno di scuola internazionale in Italia ora siamo approdati al sistema australiano. Tommaso ha sei anni e mezzo e sta frequentando year 1: lui aveva la possibilità di scegliere tra francese e arabo ma noi abbiamo scelto l’arabo. Mentre Riccardo, che ha cinque anni, ha arabo due ore alla settimana. Questo è il quinto anno che viviamo nei paesi del Golfo Persico, forse ci staremo ancora per un po’, quindi ci è sembrato giusto inserire l’arabo come seconda lingua straniera.

Riyadh è una città sicura? C’è una domanda di riserva?!

Come ti senti, da donna, in un contesto così restrittivo per le donne? Non lo so esattamente come mi sento, vivo in un turbinio di emozioni contrastanti. Ho fatto la scelta di vivere da espatriata seguendo mio marito, decidendo di mollare tutto in nome della famiglia ma anche perché da tanto sognavo questa vita. Sono felice perché siamo insieme, lo scorso anno, che è stato un anno di transizione tra il Kuwait e l’Arabia e io e i bambini l’abbiamo trascorso in Italia senza il loro papà,  è stata dura, soprattutto per i bambini. Ma confesso che non avrei mai pensato di vivere in un paese come questo, in un paese dove essere donna è veramente difficile. Io vivo in un compound dove la realtà è occidentale, ma appena varchi la sbarra del controllo ti ritrovi in un mondo così diverso e sfidante per chi nasce donna.

E’ facile per una donna occidentale trovare lavoro? Sono arrivata da pochi mesi e quindi non riesco a fornirti una risposta esatta. Posso solo dirti che ho conosciuto diverse donne occidentali che lavorano. La maggior parte sono insegnanti o assistenti in scuole internazionali.

Riyadh è una città internazionale? esiste una comunità italiana? tu e la tua famiglia ne fate parte? A Riyadh ci sono molti più italiani di quelli che c’erano in Kuwait ai miei tempi. Nel mio compound vivono molti americani e coreani, oltre che spagnoli e olandesi. Esiste una comunità italiana, ma non ho ancora avuto il coraggio e la voglia di contattarli ed entrare a farne parte, trovo che gli italiani all’estero spesso siano scostanti e incapaci di fare gruppo, condividere le informazioni, creare situazioni di aggregazione e aiuto. Tutte cose che in Kuwait, per esempio ho trovato nel gruppo di inglesi e francesi. In Kuwait la mia esperienza con la comunità italiana non è stata delle più positive, almeno finché non ho conosciuto Mimma, una ragazza pugliese che arrivava da Milano e che aveva una bambina coetanea dei miei figli: con lei ho fatto amicizia e insieme abbiamo creato relazioni con tante persone.

Quali sono gli aspetti positivi del vivere in una città come Riyadh? L’aspetto positivo è legato allo stile di vita da espatriati ovvero poter vivere una realtà internazionale, conoscere nuove culture, nuove persone, interagire con stili di vita diversi. Riyadh mi sta facendo conoscere la cultura coreana che non conoscevo assolutamente. In Kuwait frequentavo soprattutto inglesi, australiani e libanesi. Qui sto frequentando americani, coreani e olandesi e sto scoprendo un sacco di cose interessanti.
I miei figli parlano due lingue, inglese e italiano, stanno imparando l’arabo; si relazionano con bambini che arrivano da ogni parte del mondo; in pochi giorni si sono adattati ad una nuova realtà scolastica, ad una casa nuova, ad avere nuovi amici e li vedo sereni, felici e soprattutto ogni giorno ricevono nuovi stimoli. Questi sono tutti gli aspetti positivi del vivere al’estero e del vivere la realtà di Riyadh.

Potresti vivere lì tutta la vita? Mai e poi mai! Ho già dato a mio marito una scadenza.

Qual è la tua giornata tipo?
Ho due figli: Tommaso 6 anni e mezzo, Riccardo 5 anni. Le mie priorità riguardano loro. Per questo la sveglia ogni mattina suona prima delle 6. Mi sono offerta volontaria per portare i bambini a scuola col bus del compound, così ogni mattina alle 7.20 li accompagno assieme ad altre due mamme.
Il pomeriggio, quando tornano da scuola, hanno i compiti; da qualche settimana ho iniziato anche con l’italiano perché voglio che siano in grado di leggere e scrivere in entrambe le lingue. Frequentando una scuola con sistema australiano è tutto nuovo, da studiare e trasmettere poi ai miei figli. Sembra facile, ma il sistema australiano è un po’ diverso da quello inglese a cui loro erano abituati. Ad esempio utilizza il corsivo, che varia da stato a stato, quindi abbiamo dovuto imparare anche quello; la matematica viene insegnata in modo abbastanza differente dal sistema inglese, ma anche il sistema di lettura utilizzato è differente. Insomma, ci sono una serie di cose che vanno imparate e quindi, per ora, questo mi porta via parecchio tempo. Sono arrivata a Riyadh da poco più di tre mesi, quindi la mia vita è in fase di strutturazione. Devo ancora scoprire tante cose, conoscere gente, crearmi un nuovo giro di amicizie, trovare i miei punti di riferimento, sia per quanto riguarda i luoghi che le persone. Insomma, sono impegnata a ricostruirmi la mia realtà. 

C’è qualcosa che bisogna assolutamente visitare se si viene a Riyadh? Credo che Riyadh offra molte più cose da vedere rispetto a Kuwait. Sono qui da troppo poco tempo e fino a qualche settimana fa le temperature erano proibitive per organizzare gite all’aperto ma ho una lista di cose che che voglio assolutamente vedere prima di andarmene: la storica città di Ad’Diriyah, dove il primo Stato saudita è stato fondato nel 1745. Il National Museum, Kingdom tower con il suo sky bridge, The Edge of the world, un picco roccioso al quale si arriva attraverso uno dei più popolari percorsi da trekking nel deserto: da lassù si può ammirare il deserto dall’alto di questa roccia. Poi il Thumamah national park, The Masmak Fort, che sono andata a visitare durante un tour della città insieme alle amiche americane; Deira Souk o qualsiasi altro souk per respirare la vita vera, fatta di profumi di spezie e incenso, tappeti, abaya, oro giallo, e tanto altro ancora.

 

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