4 libri per emozionarsi e per pensare

La fortuna vuole che ultimamente inciampi in libri bellissimi, tutti diversissimi tra di loro, tutti capaci di emozionare e, al contempo, di costringermi a fermare il tempo per pensare.

O, più semplicemente, per scoprire storie che non conoscevo, come quella che appartiene al passato dell’Isola dell’Elba che, nel mezzo della seconda guerra mondiale, diventa una pedina fondamentale nel conflitto tra i nazisti e le truppe degli alleati. Un territorio e, soprattutto, chi lo abita e ha il volto bellissimo e il carattere irruento della lavandaia Iole, sono al centro de “La figlia del ferro”, (edito da Giulio Perrone), il romanzo – meraviglioso – con cui Paola Cereda riporta alla luce una vicenda del passato poco nota ricostruendone i momenti salienti attraverso un personaggio femminile indimenticabile. Figlia di un anarchico, caparbia, passionale, indomita, fatta di ferro come l’isola alla quale appartiene e in cui abita da sola, assecondando, a dispetto delle malelingue, le volontà del suo corpo, Iole durante i giorni bui dei bombardamenti si innamora riamata di Mario, un giovane coetaneo. E non importa la miseria, la disgrazia, il continuo risuonare delle sirene, un avvenire che non appartiene a nessuno: i ragazzi che si amano, come scriveva Prévert il secolo scorso, non ci sono per nessuno. Perché si cercano, perché bruciano di una voglia di vivere che nasconde gli orrori e fa credere che si, prima o poi sarà tutto possibile. Ma la guerra non lascia scampo. E con lei i giudizi altrui che allontanano chi preferisce non omologarsi a convenzioni retrograde e a un perbenismo che, soprattutto durante un conflitto, ha ancora meno ragione di esistere. Ci pensa la guerra, ancora una volta, a sparigliare tutto. Con un orrore che raggiunge il parossismo quando gli alleati sbarcano sull’isola e trasformano quelle che dovevano essere ore di pace in un trionfo di fiera bestialità dalla quale è impossibile sfuggire.

Sono pagine che vanno lette, assimilate, diffuse; sono momenti di inumana crudeltà che devono essere raccontati, perché ieri è uguale all’oggi, per certi versi, e gli uomini faticano a imparare dai loro errori. “La figlia del ferro” è un romanzo che lascia senza fiato, che si apprezza per l’eleganza della lingua, spesso graffiata da necessari dialettismi, che restituisce dignità ai vinti della storia, alle vittime senza voce, a chi, per salvare gli altri, ha sacrificato sé stesso. 

Un tema dolente trattato con una mano dolce: è questo il segreto di “In due sarà più facile restare svegli“, il romanzo d’esordio di Giorgia Surina (edito da Giunti) in cui i conti si fanno con la cronica mancanza di principi azzurri – o per lo meno di uomini degni di questo titolo – e di una maternità in solitario che diventa l’alternativa, per due amiche, di supplire a questa assenza. Perché quello che conta, alla fine, è la vita e donarla quella vita, in barba alle consuetudini, come risposta alle infelicità e alle delusioni che i rapporti a due spesso causano, oltre le incomprensioni di chi, semplicemente, non capisce che ci sono tanti, diversi modi di amare. Un racconto delicato per un argomento che l’autrice affronta con estrema grazia e che condisce con pensieri e riflessioni che affida alle protagoniste, nelle quali molte donne potranno riconoscersi.

E poi c’è Chiara Tagliaferri che, con “Strega comanda colore” (edito da Mondadori) ha scritto un libro stupendo per il quale ogni definizione sarebbe superflua e che vi consiglio di divorare senza indugio. È tutto perfetto a cominciare dalla scrittura vivace e scoppiettante, capace di tratteggiare una storia familiare in cui realtà e fantasia si uniscono senza soluzione di continuità, per dare vita a un simposio di donne che, come streghe moderne, tengono sotto scacco altre donne servendosi di denaro e ricatti morali. Fantasia e memoria dialogano insieme per raccontare di una bambina che nasce e cresce a Piacenza e che da Piacenza fugge per salvarsi da una maledizione che condanna le femmine della famiglia alla solitudine e al disamore. Come la luminosa sorella Sara, bellissima e destinata a un futuro di successo, che colleziona fidanzati e sorrisi; o la madre, perdutamente innamorata del marito, che confonde vivi e morti in un sabba emotivo da manuale; o la nonna, megera matriarca che sul microcosmo familiare spadroneggia grazie ai soldi. Il risultato è una finestra spalancata su un mondo in cui anche l’amore diventa un pretesto per accumulare vestiti che possono salvare facendosi atlante emotivo di possibili vie di fuga capaci di trasformarsi in altrettante possibilità di salvezza per la protagonista perché, come scriveva Proust, “Spariti gli dei, ci restano solo gli oggetti”.

Ci sono tanti modi per raccontare la vecchiaia e con rara sensibilità Slavenka Drakulic ne “La donna invisibile” (Bottega Errante Edizioni) li fa tutti suoi, delicatamente, quasi sottovoce, affidando alla sua penna l’arduo compito di scoperchiarne i tabù. Ed è a lei che si deve la creazione di (in)credibili personaggi femminili, complessi e frastagliati, che devono fare i conti non solo con l’invecchiamento, in primis del corpo, ma anche con le persone che hanno intorno- figli, compagni, affetti – che di questa sottile evanescenza sono i primi testimoni. Una galleria di racconti intimi e liberatori, che non dimenticano un punto di vista originale e ironico per dare vita a realtà ruvide e fragili al contempo in cui le donne narrano loro stesse e la loro progressiva discesa verso l’invisibilità. La società si fa specchio amaro di quel trascorrere del tempo che non si può ingannare né rifuggire, in cui restano vivaci le sensazioni interiori che faticano, però, a trovare una controparte all’esterno e anch’esse, man mano, si affievoliscono. 

Testo di Ursula Beretta

 

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