Un maggio di libri

Maggio pazzo e piovoso, ma ricco, come sempre, di letture perfette per accompagnare il luminoso percorso verso la bella stagione e non crucciarsi troppo dell’instabilità del meteo. Perché perdersi tra le pagine di un libro, spesso, è il migliore antidoto a ogni noioso capriccio del cielo.

Fare a pugni con il dolore o, ancora meglio, con l’assenza- di dolore come di persone amate- in un tempo sospeso da dilatare all’infinito per rendere i colpi più efficaci. O forse solo più veri. Fare a pugni con un padre che ha scelto il silenzio scomparendo senza una parola dalla vita di una figlia che, al netto delle giustificazioni e della storia, la loro, che ricostruisce mettendo insieme frammenti di ricordi e giochi di memoria, a un certo punto decide di sapere. E per farlo sceglie un ring, sì sì proprio un ring, in cui affrontare quella figura misteriosa e sfuggente, le cui idiosincrasie sono palline sbrilluccicanti che percorrono la vita di entrambi, pronte a fulminarsi implodendo. O a fulminare. Ilaria Bernardini ne “Il dolore non esiste” (Mondadori) fa proprio questo: spegne le luci e prova ad accenderne altre, levando la polvere da un lessico familiare complesso in cui questo padre difficile e singolare smette di dettare regole di vita e si offre, scarnificato e crudo, a farsi percorrere da fili di parole per essere compreso prima ancora che accettato. Solo il combattimento finale, però, potrà essere risolutivo. Ed è così che Ilaria, la protagonista del romanzo, sfrutta la lentezza della pandemia per allenarsi, con il corpo e con la mente, a un decisivo incontro di pugilato, sport che il padre ama più di ogni altra cosa. Un diario dell’assenza che diventa al contempo un tentativo di riannodare i brandelli di capitoli di vite sfilacciate, unendoli in un solo, lungo percorso. Verso sé stessi. 

Puoi andare a bere, flirtare con ragazzi carini e poi non mandargli più messaggi. Nessun impegno, nessuna promessa, nessuna gelosia, nessuna discussione e nessuna visita ai suoceri.” Praticamente il paradiso per chi, come Gwen, è uscita a pezzi da una storia sentimentale che le ha lasciato solo un furgone per vendere caffè, che lei peraltro odia, e una solitudine rumorosa che cerca di silenziare uscendo compulsivamente con tizi conosciuti su una app di incontri. Ma cosa distingue un appuntamento andato bene da uno trascorso con un…morto? In “Come uccidere la tua anima gemella”, (Giunti) L.M. Chilton unisce l’impianto della più classica chick lit con un humour nero con il quale costruisce una storia buffa e tragica al contempo, di cui saranno vittime proprio i poveri ragazzi con cui Gwen è uscita prima che passassero a miglior vita…Cinico quanto basta, irreale ma perfetto per sorridere senza sensi di colpa, si legge velocemente e con la perfida curiosità di scoprire se davvero un appuntamento galante può essere anche così letale.

Federica de Paolis ha scritto un romanzo meraviglioso. E lo dico in maniera spassionata. “Da parte di madre” (edito da Feltrinelli) ha una forza carsica talmente corrosiva, emotivamente parlando, che al suo cospetto tutto scompare. Un libro che le è costato più di vent’anni di scrittura e, suppongo, un’estrema igiene interiore per ripercorrere, circumnavigando memoria e finzione, la storia di una donna, sua madre, e del suo rapporto con lei. E sono le diverse case in cui hanno vissuto sole, interrotte giusto da qualche incursione maschile capace per lo più di fomentare la fame d’amore della genitrice, a disegnare una geografia sentimentale in chiave romana in cui crescere, vivere, imparare a conoscersi e a fare a pugni, ancora, con una realtà non sempre illuminata. Ma il dolore, quando c’è, è sempre smorzato da un leggero sorriso che rende questa narrazione, a tratti tragica, dolce e carezzevole.

La maternità come nessuno l’ha mai raccontata. Lontana dalle equazioni semplicistiche. Libera dagli stereotipi di genere (è così bella, così unica). Scorretta, anche, ma decisamente vera. A liberare il  vaso di Pandora da grandi sorrisi e pillole di felicità ad ogni costo ci pensa Szilvia Molnar con “La Nursery” (edito da Guanda) e la sua Bottone, intrepida neonata arrivata a scombinare il ménage di una coppia di creativi newyorkesi. La voce narrante, in prima persona, è quella della madre che diventa il barometro per indagare la trasformazione che avviene in giornate non più scandite da bozze di traduzioni e rendez-vous romantici ma da rigorose poppate e pianti sconsolati, in compagnia di una solitudine claustrofobica tra le mura di una casa che protegge. anche troppo. e la malinconia di muschi e licheni, lascito di un’altra vita, che invece è già finita. Da leggere.

Vi consiglio poi un gioiello, che racconta la vita con l’anima volutamente messa a tacere e un dolore che rimane costretto a sentinella ma che c’è. Resta in attesa. Celato. Intimo. Quasi vergognoso. Perché quasi mai la letteratura lo disegna così com’è in questa quotidianità che vede un padre putativo, vedovo anzitempo, impegnato a garantire la sopravvivenza sua e della figlia adolescente della moglie morta senza lasciarsi sopraffare dall’amarezza di un vivere che, pur flirtando con l’apatia, impone di restare vigili. Di andare avanti. Di non concedere carta bianca alla disperazione. Amerete tantissimo Andrea e la sua Nina, il loro procedere nei marosi dell’esistenza senza altro paracadute che l’amore che li lega. “Chiudi gli occhi, Nina” di Paolo Mascheri (edizioni Clichy) è un romanzo petroso e necessario. Oggi come sempre.

Ursula Beretta

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