Ciao, ottobre

Liberi libri in questi scampoli di autunno balordo, da sfogliare e da divorare come una zuppa ricca di sapori, tra ragazze scomparse e menti sconvolte, passando per amori ballerini che risentono, mi piace pensare, del caldo anomalo di questi giorni. Ma questa è un’altra storia.

Ferrara, invece, è una favola dark. In cui c’è spazio per la nebbia, certamente, per una ragazza creduta morta che scompare improvvisamente e per un’ispettrice coraggiosa e umorale che si muove in un quadro disperato e violento in cui si nascondono segreti devastanti. Un’atmosfera perfetta accompagnata dal plauso di un giallista doc come Carlo Lucarelli fa da sfondo al primo romanzo di Cinzia Bomoll, “La ragazza che non c’era”, edito da Ponte alle Grazie. Se la trama è da manuale, con un caso irrisolto che si riempie di mistero, altrettanto si può dire della protagonista, Nives Bonora, la cui fragilità viene nascosta da modi bruschi, da un intuito sopraffino e da un’apparente incapacità di instaurare rapporti umani se non con l’adorata nonna Argenta. È grazie a una narrazione visiva che permette al lettore di adottare il punto di vista dell’ispettrice che la storia prende vita: il corpo ritrovato di una sconosciuta, scompare dall’obitorio in cui era stato portato e si dilegua in quel nulla in cui si troverà a indagare Nives. Un intreccio che vedrà coinvolte alcune famiglie della Ferrara bene e dove ci sarà spazio per traffici loschi e, naturalmente, per un omicidio.  Il risultato è un giallo in cui l’apparenza regna sovrana, dove l’illusione di una vita perfetta è come una fotografia dai volti cancellati pronta a rivelare tutto il suo marcio, da sconfiggere anche solo con un poco di poesia. Come quella che l’ispettrice racchiude nei suoi taccuini e che si spalanca, quasi per caso, su un altro, fastidioso futuro.

E non c’è futuro peggiore che quello che vede cadere, poco per volta, le certezze costruite in maniera certosina nel corso di una vita, con la convinzione che siano l’unica strada praticabile – e conosciuta- per vivere comme il faut. Lo sa Mrs March, educata fin da piccola a coltivare un’esistenza in cui l’unica regola è rispettare le apparenze e mostrarsi esattamente come gli altri si aspettano. “Perché niente è più spaventoso del giudizio degli altri”. “Mrs March – La moglie dello scrittore”, romanzo d’esordio di Virginia Feito (edito da HarperCollins), è un noir di hitchcockiana memoria nella cui atmosfera temporale quasi sospesa e scandita da gesti sempre in linea con la comune morale si muove una donna di cui il lettore non conoscerà mai il nome ma solo l’etichetta sociale, Mrs March. Anonima, poco piacevole, devota al limite del malato nei confronti del consorte, quasi robotica nel rispettare una routine che sarà sgretolata, come uno tsunami, dall’ultimo romanzo del marito la cui protagonista, una sordida prostituta, pare quasi modellata sulla stessa Mrs March… Ma lungi dal fare quello che il comune buonsenso farebbe, la donna, colpita nella sua immagine pubblica, scivola in una spirale malata di paranoia e ossessione, perdendo il controllo di sé stessa e costruendo una realtà alternativa nella quale impuntarsi a voler scoprire quello che la tormenta. Al lettore il compito di crederle o meno: quello che resta invariato, però, è la mano sofisticata dell’autrice che accompagna di buon grado la discesa agli inferi della sua eroina con una sana e spietata dose di humor.

Umorismo sì, ma quando si parla d’amore e di una poco più che trentenne inglese, star della cook litterary e single di ritorno in una Londra in cui gli incontri sono solo questione di app, è necessario andarci cauti. E con il sorriso. Lo fa Dolly Alderton nel suo nuovo romanzo “Sparire quasi del tutto” (edito da Rizzoli e tradotto, come sempre, egregiamente da Veronica Raimo) in cui la bestia nera del dating online trasforma la vita quasi perfetta di Nina (George) Dean in un catalogo degli orrori. E, soprattutto, degli errori. Il titolo originale del libro, del resto, non mente: Ghosts, fantasmi, che sono i veri protagonisti di un’epoca storica in cui la labilità è di casa. Fantasmi degli amici – e delle amiche – con famiglia che si allontanano da chi, come Nina, vive in 30 mq in centro città e non ha ancora seriamente valutato la possibilità di riprodursi. Fantasmi di genitori privati della lucidità da una malattia bastarda come l’Alzheimer che trasforma il padre di Nina da stimato professore a ombra di sé stesso costringendo la moglie e la figlia a trovare il modo per sopravvivere. E fantasmi come Max, che dallo schermo di Linx, il corrispettivo romanzato della app di dating online Tinder, si candida a diventare nell’arco di pochi mesi l’anima gemella della protagonista. Prima di dirle che l’ama, prima di sparire, o di fare ghosting, come più comunemente si dice. Se il romanzo della Alderton è stato considerato un’evoluzione de Il diario di Bridget Jones, la verità è che bollare il libro come semplice esponente della chick lit è limitante. Non solo perché l’autrice scrive bene – onore al merito dell’amata Raimo che l’ha tradotta – ma anche perché affronta con mano profondamente leggera anche tematiche che esulano dalla bella vita di ragazze trentenni in una metropoli wow. Leggete e sappiatemi dire!

Testo di Ursula Beretta

 

 

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