due bambini

Due bambini – i miei – di quasi 6 e quasi 5 anni hanno amici intercambiabili; vite che si intrecciano; abitudini simili. Si divertono con gli stessi giochi e gli stessi film. Litigano tanto, per cose futili o per iniziare a misurare i confini del proprio spazio, della propria individualità. Ma si amano anche tanto. A intermittenza. E a me piace osservarli, gustarmeli, quando se la ridono insieme, complici: mi fa bene, mi rassicura. In quei momenti ho la prova che se pure il mondo affondasse, loro avrebbero sempre l’un l’altro. Non solo perché sono fratelli ma perché li separano solo una manciata di mesi.

Non avrò bisogno di organizzare affannosamente merende con i loro coetanei nei mesi invernali, perché quando a Milano pioverà per una settimana di fila loro riempiranno i pomeriggi coi loro puzzle da 47 pezzi o creando farfalle surreali con le tempere spremute sui fogli bianchi. Oppure giocando ognuno per conto proprio, ma rigorosamente l’uno accanto all’altra, nella loro stanza. 

Quei due bambini che sono stati totalmente e contemporaneamente dipendenti da me, con gli anni, superata la fatica, li ho messo a fuoco, ho cominciato a guardarli crescere all’unisono e staccarsi piano piano da me, pur restandomi appiccicati tutto il tempo e appiccicati l’uno all’altro. Compensarsi in molte situazioni. Stimolarsi a vicenda e anche scontrarsi. Fare squadra contro di me o contro il loro papà. Stupirsi per le stesse cose.

Buffo, se avessi potuto scegliere se fare due figli così vicini me la sarei fatta sotto e probabilmente avrei detto ‘no, grazie’. Oggi invece invece posso dire che la sensazione di prendere due piccioni con una fava…mi piace da matti.

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