Il ritratto

Due donne. Due artiste: una, Valeria, scrittrice; l’altra, Isla, pittrice.

Valeria ama Martin; ma anche Isla ama Martin. E Martin, in coma dopo un ictus, chi ama?

“Il ritratto” di Ilaria Bernardini, edito da Mondadori, è un romanzo di amore e di morte, che scava nel passato per trovare, forse, le risposte per il futuro. Un libro che è un viaggio ricco di fermate intermedie, fatto con gli occhi di chi, nella vita, ha già fatto i conti con la sofferenza e non sa come reagire a un altro, improvviso, cortocircuito.

Ma non c’è spazio per dolcezze e romanticismo: la tensione narrativa risolve la complessa banalità, se vogliamo, di un ménage à trois regalando in cambio dei personaggi unici, fatti di carne e di sangue, di dolore e di timore, di incertezze e di rabbia, di vicende passate che si fondono con un presente bastardo per avvolgerlo in una spirale puntuta. Sono le donne a tenere le fila di un percorso ad ostacoli in cui si ama e si odia con la stessa intensità, in cui ai sogni fanno da contrappunto le miserie della realtà, dove le paure sono foraggiate da vecchi fantasmi in cerca di pubblico e in cui il dolore, l’angoscia, l’inquietudine sono compagni fedeli di un tempo che non segue calendari ma li crea.

Valeria Costas è una scrittrice famosa in tutto il mondo e ha un unico grande amore, Martin, suo amante da 25 anni, che vive a Londra con la moglie Isla, pittrice americana di un certo successo, e i tre figli. Quando l’uomo viene colpito da un ictus e rimane in coma nel letto di casa, l’unico modo che Valeria ha per stargli ancora vicino è provare a insinuarsi nella sua famiglia con un espediente, ovvero commissionando alla moglie il suo ritratto per la copertina del nuovo libro.

Un gioco al massacro che si compie tra pennelli e parole: le due donne, così distanti, così lontane nel coltivare lo stesso dolore in un silenzio, per certi versi complice, si cimentano in una sorta di balletto di famiglia in cui trovano posto sia gli amati figli di Martin, Antonia in primis, che un racconto capace di portare alla luce verità impreviste.

La parola paura, in giapponese, aveva la forma di un letto a castello con sopra un materasso. Diventava più grande ogni secondo che passava.

La parola paura, per Valeria Costas, ha anche la forma della sua storia che, dai ricordi di Martin, si spinge a ritroso nel tempo per arrivare fino nell’isola di Rodi, tra le braccia dell’amata sorella Sybilla, nelle follie sane di una madre affamata di vita e di lontananza, nelle lettere di un padre sempre in fuga, alla ricerca di amore in tutte le città del mondo.

Si confondono i tempi, le spiagge assolate si contrappongono alla continua pioggia che avvolge Londra e la casa in cui le due donne si studiano e si raccontano, creando un’intimità profonda, giocando con fragilità che servono da rifugi così come da armi, rincorrendo bugie e segreti e coltivando un’insana ma quanto mai vitale compassione l’una per l’altra.

Perché Martin è l’amore della mia vita, pensa Valeria. Perché sono sola e non ho nessuno che mi abbracci. Perché sto invecchiando a vista d’occhio, e perché tutto sta crollando e svanendo. Sto perdendo ogni cosa, le mani che ha sfiorato, le parole che ho detto. Perdo i muscoli, la memoria, tutti quelli che amo. Sono stanca delle bugie, dei titoli e di tutte le storie a cui devo continuare a trovare un senso. L’unica persona che riusciva a vedermi non può più vedermi. Sono invisibile. Diventerò invisibile.

Se Valeria Costas affida alle pagine dei racconti che scrive i suoi pensieri e gli stessi stralci della sua vita, grazie ai quali il lettore può leggere la cronistoria emotiva della protagonista, Ilaria Bernardini scrive un romanzo intenso e crudele, in cui confrontarsi con la reale ambiguità della vita spesso lascia ferite profonde e, allo stesso tempo, terribilmente umane.

Un romanzo che non permette giudizi di sorta: non esiste ciò che è giusto o sbagliato, chi tradisce o è tradito, chi possiede e chi no. Vale tutto, per amore. Ed è un tutto, comunque, bellissimo.  

Testo di Ursula Beretta

 

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