Mordi e fuggi. Il romanzo delle BR

Si può raccontare un periodo complesso e drammatico, una parte di storia italiana ferocemente violenta e dura, racchiudendola in un romanzo, ben scritto, ben documentato, estremamente forte, ma pur sempre un romanzo? La risposta è in “Mordi e Fuggi. Il romanzo delle BR”, firmato da Alessandro Bertante ed edito da Baldini+Castoldi, un libro potente e affilato, che si legge come un percorso di formazione giovanile in salsa, ovviamente, dannata. E  che non concede sconti grazie al racconto in prima persona che l’autore fa, indossando i panni di Alberto Boscolo, giovane milanese che è stato uno dei primi brigatisti dello storico nucleo, a cui affida la regia di una narrazione che entra nelle ossa e regala, con precisione cinematografica, l’essenza esatta di quella stagione del terrorismo rosso in Italia e, insieme, uno spaccato vibrante dei tormenti giovanili di chi, al pari del suo protagonista, stava faticosamente cercando la sua strada.

I miei vent’anni furono violati insieme a ogni spensieratezza e ogni progetto riguardante il futuro. Cercavo conforto in ogni sguardo, calore in ogni abbraccio, riconoscendo nei miei compagni la stessa dolorosa angoscia, quell’angoscia che avrebbe segnato per sempre la mia generazione.

Alberto è in rotta con la famiglia borghese: è il 1969, l’Università è un ricordo, il movimento studentesco e l’eco dei possibili cambiamenti che portava con sé pure. Ma lui si sente diverso, vuole fare la sua guerra, una rivoluzione che dia voce al popolo dei lavoratori, come insegna la lezione comunista, e che non sia slegata dalla realtà restando pura ideologia. Lui che non è solo. La sua smania di agire lo porta a passare da un gruppo all’altro fino a entrare nell’ala estremista del CPM, che darà vita a Sinistra Proletaria prima e alla Brigata Rossa poi, a cercare i suoi simili, a fare propaganda davanti alle fabbriche, a vivere quella Milano lontana dai cliché, fatta di periferie, di zone industriali, di osterie rifugio della leggera, la piccola criminalità cittadina. La svolta è nel dramma di Piazza Fontana quando, di fronte al dramma dei morti e dei feriti della strage che cambia per sempre il volto della città, Alberto e i suoi compagni decidono di concretizzare il loro progetto politico dando vita, nell’agosto del 1970, alle Brigate Rosse. E sono azioni dimostrative, rapine, sequestri lampo a tessere le fila di un percorso che condanna lui e gli altri a una clandestinità malata ed esaltata, che sfocia presto in una sorta di superomismo aggressivo e violento, dove la paura di essere scoperti e l’ansia del tradimento portano il giovane a cedere alle lusinghe della paranoia e, soprattutto, dell’alcolismo.

Un (anti) eroe moderno, vittima di una crisi emotiva che diventa ossessione, nella quale festeggiano tutti i suoi demoni, passati e futuri, capaci di trasformare l’ebbrezza dell’azione in tormento esistenziale. È una “guerra immaginaria” che lo stile veloce di Bertante rende presente e viva dando voce e ragioni ad Alberto Boscolo, uno dei fondatori delle BR mai identificato perché protetto dai compagni arrestati.  E sono pagine dense e ricche di umanità, in cui la cronaca vera flirta con la realtà romanzata quelle a cui Alessandro Bertante affida una narrazione ad alta tensione emotiva, durissima e affascinante, capace di fare riflettere, oltre che sulle vicende storiche, anche sul prezzo che comporta essere coerenti con i propri ideali. Nel bene e nel male. 

Testo di Ursula Beretta

 

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