NEW YORK, NEW YORK

Non lo so ma “scegli giorno e ristorante a New York e ti ci porto” è una delle dichiarazioni più belle che abbia mai ricevuto. E, del resto, la cornice della città che non dorme mai è perfetta sempre, per una storia d’amore così come per amplificare l’atmosfera di un libro.

O di due libri, così diversi tra di loro e così ugualmente intensi, che sono i candidati perfetti per letture autunnali dall’una come dall’altra parte dell’oceano.

Una storia nera e fantasiosa al contempo, ricca di avventure al limite dello straordinario, dove i personaggi sembrano rispondere a un destino scritto dai loro avi e la Big Apple è una versione meno nota, decisamente misteriosa, sicuramente più inquietante di quella tradizionale. Benvenuti in “Favola di New York”, di Victor Lavalle, pubblicato da Fazi Editore, un romanzo fuori dagli schemi ma, forse anche per questo, assolutamente invitante.

A New York vivono Apollo, mercante sui generis di libri, la moglie bibliotecaria Emma Valentine e il figlio Brian West, che porta il nome del padre che ha abbandonato Apollo quando era poco più di un bambino. La normalità della famiglia viene interrotta dall’accavallarsi di strani fenomeni che sostituiscono alla facciata operosa della città una cornice fatta di isole buie e di cimiteri, di manicomi e di strani personaggi, di messaggi anonimi e misteriosi e di uno strano destino che stravolge totalmente la vita dei protagonisti. La catastrofe prende il posto dei buoni sentimenti e il futuro meraviglioso viene sostituito dalla paura e dall’orrore.

Erano stati una famiglia, tra l’attuale e l’eterno. Insieme. In un istante fiabesco e antico come quando le fiabe erano pensate per gli adulti e non ancora per i bambini.

E poi la favola si tinge di nero e il lettore viene accompagnato dalla trama ricca di snodi e di colpi di scena a cercare di scoprire che cosa sia successo davvero a Emma e a Brian, mentre il racconto si arricchisce di streghe e di saghe famigliari, di una tecnologia al limite del mostruoso e dell’aspetto più scuro di una città che si fa complice del male. Ma resta una speranza, quella della forza dei legami tra consanguinei e, soprattutto, quella dell’amore, l’unica cosa che cambia davvero la vita.

Se devi salvare le persone che ami, diventi una persona diversa, ti trasformi. L’unica magia è in quello che siamo capaci di fare per le persone che amiamo.

Un realismo magico – e forse un po’ crudo- accompagna “Favola di New York” la cui atmosfera apparentemente senza tempo viene spezzata dall’onnipresenza della tecnologia, vista al pari di mostro che, con l’uso indiscriminato dei social network, affascina, seduce e fa perdere all’uomo la sua vera essenza, condannandolo a perdere il contatto con la vita vera e razionale, unica sua salvezza.

Il romanzo di Victor Lavalle conquista con la sua trama magnetica, ricca di tematiche contemporanee e capace di indagare sull’effimero senso di un “per sempre” che non è mai una certezza, sotto l’ombra di una città, New York, protagonista ipnotica in cui la realtà si intreccia con il mito e la leggenda, compagna di un viaggio straordinario in bilico tra ragione e follia.

Una New York felice, ricca di promesse e di speranze (e di talenti geniali) è invece quella racchiusa nel seminterrato di 9 mq in cui cominciano la loro vita insieme Martha e suo marito Adam Gopnik,autore di “Io, lei e Manhattan”, edito da Guanda.

Il racconto di una storia d’amore per due donne, la città e la moglie, e la storia di un apprendistato, quello che porterà l’autore a essere una delle firme più celebrate del settimanale New Yorker, si dispiegano in una sorta di divertente autobiografia, in cui ogni aspetto diventa interessante perché nuovo e non ancora provato, dove ogni vicenda viene vissuta con attese e batticuore perché parte di un percorso affascinante di scoperta, dove tutto diventa fonte di entusiasmo, dalla lotta contro gli scarafaggi all’amicizia con Richard Avedon.

Che cosa fa la differenza? L’ambizione, naturalmente. Quella di conquistare il posto nella città più bella del mondo e di farlo per amore di una donna.

Il desiderio che provavo per lei era il motore di tutte le mie ambizioni. In effetti l’ansia, l’ambizione e il desiderio erano tutti mescolati in una sorta di combustibile della vita. Volevo che continuasse a tornare a casa. Volevo far bene per continuare a interessarle. Volevo portarle a casa gli scalpi dei nemici sconfitti. 

Un po’ commedia romantica, un po’ guida semiseria di una città in cui due ventenni canadesi, negli anni 80, possono trovare la loro strada professionale e coniugale, Io, lei e Manhattan è pervaso da un’atmosfera di festa perenne, tra scrittori e artisti, in un ambiente bohémien stimolante e decisamente unico.  Un memoir sui generis che si legge con divertimento, di cui si apprezza l’ironia sottile, dove si cercano i ritratti più intimi di personaggi celebri – il già citato Avedon, l’eccentrico Jeff Koons – mentre si sorride alle considerazioni accattivanti dell’autore…e, una volta chiuso il libro, si ha la sensazione di avere passeggiato per Soho con il naso all’insù in compagnia di un affascinante affabulatore come Gopnick, con la certezza che tutto sia davvero possibile.

Ma non è forse ancora così a New York?

Testo di Ursula Beretta

 

 

 

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