Una manciata di libri intensi…da amare

Sono tanti i libri che mi hanno tenuto compagnia in queste ultime settimane. Belli, bellissimi, naturalmente. A voi un assaggio!

Comincia Mattia Insolia che, nel suo ultimo romanzo, fa quello che fanno i fuoriclasse, incanta. “Cieli in fiamme” (edito da Mondadori) è una discesa all’inferno da fare slacciando quelle cinture di sicurezza che, peraltro, sono destinate a rivelarsi inutili. Ma già si sa. Ed è tutto fin troppo chiaro dall’incipit potente con cui l’autore scopre le carte sue e dei suoi personaggi per costringere il lettore ad avanzare cauto in quel suo new pulp graffiato da derive sentimentali che regalano un po’ di agio sì, ma attenzione a farci l’abitudine… Del resto, quello che importa è lasciarsi accadere per dare un senso al tutto e, al contempo, prendersi quella bellezza che il mondo non concede. Ipse dixit, anzi, tutti proprio. Fare da soli, vivere da soli, pensarci da soli. E quasi annegano in queste loro balorde solitudini Niccolò, Teresa e Riccardo, gli attori selvatici di un’epica al contrario dove quello che conta è sopravvivere e scegliere di farlo nella maniera più scenografica possibile, nel passato così come nel presente. Perché la storia è ciclica e se i figli pagano le colpe dei genitori, non è detto che il loro purgatorio sia popolato solo di santi mancati. Sono le inevitabili storture della vita che legano il tempo di una narrazione spezzata dai punti di vista dei personaggi che si rincorrono lungo due sole direttive geografiche. Là dove tutto è iniziato. Qui in cui tutto è continuato. La traiettoria a/r è una continua caccia al dettaglio che, come in un puzzle, a fine percorso svelerà l’insieme. Fino ad allora sta al lettore seguire la cupa e vessata adolescenza di Teresa, la vasta e incomunicabile boria di Riccardo, la maniacale e sregolata giovinezza di Niccolò: racconti che si intrecciano e si scontrano, che partono insieme e poi esplodono. E in mezzo c’è la scrittura di pancia di Insolia, che sperimenta nuove sfumature espressive, che spezza le vite e la trama con il suo ritmo martellante e drammatico, che non lascia scampo a una lettura che, per necessità, è violenta, caparbia, cattiva. Per regalare un romanzo bellissimo e indecente.

È sufficiente leggere l’incipit de “La sutura” di Sophie Daull (edito da Voland) per essere trapassati da quell’aritmetica pindarica della perdita con cui l’autrice francese torna su un’altra drammatica vicenda personale dopo la morte della figlia sedicenne al centro del suo primo romanzo, ricostruendo qui l’omicidio della madre, avvenuto anni prima, in un percorso che unisce realtà e immaginazione. Per farlo, si arma dei pochi indizi a sua disposizione e comincia un pellegrinaggio per il nord della Francia ricucendo, con il filo della memoria, una storia di sangue a lei pressoché sconosciuta. È un viaggio nell’assenza fatto, anche, con la fantasia e con una scrittura carezzevole e pacata, che flirta con il dolore per trasformarlo in conoscenza e, soprattutto, in conforto. 

La storia delle storie d’amore, quella che lega una madre, Ada, alla propria figlia, Daria, venuta al mondo con una gravissima disabilità, è il cuore di “Come d’Aria” (Elliot) di Ada d’Adamo. Un lungo monologo che rifugge ogni scontata tragicità per riversare bellezza e luminosità sull’esistenza, anche se questa è monca, come quella della bambina, o destinata a essere tale, come quella della madre che si scopre malata. Un esordio potente che è una dichiarazione d’amore alla vita fatta con una scrittura puntuale e capace di esorcizzare quella solitudine che forse, attraverso i corpi – che in questo romanzo sono in primo piano, anche perché l’autrice ha lavorato molto con il corpo nella danza- può trovare la sua pace.  (È tragico senza essere retorico, è spiazzante e doloroso, è bello).

Così come è sempre bello rileggere una delle voci più autentiche della narrativa e del giornalismo contemporanei, quella Joan Didion che in “Perché scrivo” (edito da Il Saggiatore) raccoglie dodici saggi capaci di riassumere perfettamente il suo magnifico senso della scrittura. Da Nancy Reagan allo shooting fotografico di Robert Mapplethorpe passando per sprazzi di vita vissuta, come la delusione per non essere stata scelta dall’università di Stanford, la raccolta diventa un ulteriore pretesto per amare un’autrice immensa e apprezzare il suo sguardo sul mondo sempre meravigliosamente coerente con la sua identità di donna.

Ne approfitto per segnalarvi altri due gioielli. La straordinaria, ancorché dolorosa, parabola della vita di Etty Hillesum, giovanissima scrittrice olandese vittima dell’Olocausto, ricostruita in maniera originale da Elisabetta Rasy nel suo “Dio ci vuole felici” (HarperCollins). Libera e inquieta, irriverente e curiosa, brillante e colta, Etty ha lasciato con il suo diario e le sue lettere un patrimonio interiore intenso ed emozionante che l’autrice ricostruisce in dialogo con la sua stessa vita e con i personaggi, reali o romanzati, del Novecento che hanno segnato anche le tappe della sua storia.  Per non dimenticare.

E ancora Alessandra Moreddu nel suo “Azzardo” (Einaudi) accompagna il lettore nel suo personale luna park di ossessioni in cui la prima, quella per il gioco, è solo la più macroscopica – e catastrofica, per amore di assonanza – di tutte. Senza farsi sconti e con una lingua cruda, la Moreddu si spoglia dei suoi demoni e li osserva disincantata in un romanzo d’esordio che sia io che Mariangela vi consigliamo di non perdere.

Testo di Ursula Beretta

Related Posts

Discussion about this post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

css.php